Dal 21 maggio al 15 giugno esposizione fotografica al Pecci di Prato. La mostra presenta una ricerca iconografica compiuta dall'artista, nel corso di un decennio, attraverso confini geografici, ideologici e psicologici. Alla prima generazione dei sopravvissuti all'Olocausto, Vardi Kahana accosta una miriade di esperienze individuali e collettive, dai Kibbutzim ai coloni della Cisgiordania, dagli ortodossi di Tel Aviv ai secolari di Copenhagen, tutti accomunati dall'appartenenza ad un'unica famiglia: la sua. Il lavoro dell'artista evidenzia le diverse dinamiche dei legami familiari che si creano nei periodi in cui la necessità di sopravvivenza è bisogno primario.
Il punto di partenza della mostra è limmagine di Rivka, madre dell'artista, e di Lea ed Ester, sue due sorelle. Sul loro braccio sinistro sono tatuati tre numeri consecutivi: A-7760, A-7761, A-7762, l'ordine in cui, nell'aprile del 1944, ad Auschwitz hanno aspettato in fila che fosse loro impresso il tatuaggio dingresso al campo. A quel tempo non sapevano se sarebbero sopravvissute fino all'indomani: oggi vivono tutte e tre in Israele, nonne di trentuno nipoti.
Per ritrarre i suoi parenti l'artista ha viaggiato in Israele ed all'estero: dai Kibbutz socialisti della Shomer Hatzair nel nord, agli insediamenti in Giudea e Samaria, dagli insediamenti di Susya, nelle colline a sud di Hebron, alla ricca Savyon; da Gerusalemme a Tel Aviv; da Bnei Brak a Copenaghen; da Petach Tikva a Cesarea. Un lavoro di documentazione fotografica che narra la storia di quattro generazioni protagoniste dell'esperienza esistenziale ebraico-israeliana.
Spostamenti fra "sinistra" e "destra", fra ultraortodossi e case di atei ed agnostici. Vardi Kahana nel suo lavoro evidenzia le dicotomie che si sono create all'interno della famiglia: "Nella mia relazione con i cugini - spiega l'artista - manca ormai quel senso di urgenza esistenziale che contrassegnava la relazione dei miei genitori con i suoi fratelli. Ma c'è di più: si è creato un divario politico e religioso che talvolta provoca una vera e propria spaccatura. La geografia è una metonimia per la voragine ideologica che separa i diversi rami della mia famiglia. Adesso che noi stessi siamo diventati genitori - prosegue Kahana - il bisogno di vicinanza della famiglia allargata è diminuito. È vero che il divario ideologico ci allontana e cancella qualunque possibilità di un denominatore comune? A quanto pare sì. Ci incontreremo in occasione delle feste e Dio non voglia, ai funerali. Nessun altro collante ci tiene più uniti".
DEL BIMBO FABRIZIO
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