domenica 25 maggio 2014

Jacopo Ligozzi, "pittore universalissimo" alla Galleria Palatina

Jacopo Ligozzi, veronese di nascita, svolse la sua attività a Firenze impiantando una solida bottega. La sua presenza nella capitale granducale è fortemente documentata a partire dal 1577 – anno in cui figura presso la corte medicea- al 1627. Versatilità, genio creativo, invenzioni allegoriche e padronanza di complesse tecniche coloristiche hanno connotato l’attività di questo pittore non, o poco, omologato ai precetti delle tre arti del Disegno dell’Accademia fiorentina. La mostra di Palazzo Pitti vuole illustrare le sfaccettature di questa intensa produzione: dalle celebri illustrazioni naturalistiche realizzate a disegno acquarellato e lumegiature dorate, all’attività da ritrattista, alla regia di importanti apparati decorativi (si pensi alla perduta decorazione fantasiosa della Tribuna degli Uffizi commissionatagli da Francesco I tra 1583 e 1584). Ed è nel primo decennio di attività fiorentina che esegue le tavole zoologiche e botaniche tanto apprezzate da Ulisse Aldrovandi e pienamente inserite in quel clima (quasi) enciclopedistico promosso da Franceso I, così da far(ci) apparire per slittamento antonomastico, come è stato detto1, Aldrovandi il nuovo Aristotele e Ligozzi nuovo Apelle. Ligozzi fu anche pittore di storia, nella sua produzione infatti si occupò di apparati celebrativi. Non può non essere ricordata, a tal senso, l’impresa nel Salone dei Cinquecento, simbolo del potere medieceo in cui dipinge i due enormi quadri su ardesia raffiguranti l’Incoronazione di Cosimo I (1591) e Bonifacio VIII riceve gli ambasciatori fiorentini (1592); opere in cui si firma provocatoriamente “Miniator”. Dell’intensa e multiforme attività di questo “pittore universalissimo” non va inoltre sottovalutata la progettazione grafica di raffinatissimi oggetti in pietra dura, ricami e tessuti. Di singolare interesse è anche la serie di invenzioni allegoriche: l’Allegoria della Redenzione, l’Allegoria dell’Amore che difende la Virtù contro l’ignoranza e il Pregiudizio, l’Allegoria della Vanitas e l’Avarizia quest’ultima in mostra e immagine copertina del Catalogo, in prestito dal Metropolitan di New York). Una parte della mostra è dedicata anche alle opere religiose; un’attitudine del pittore sviluppata sin dai primordi del soggiorno fiorentino ma intensificatasi a partire dal 1591, anno in cui, a seguito della realizzazione della Deposizione per il convento dei cappuccini di San Gimignano, è costretto a chiudere la bottega che teneva presso gli Uffizi, a causa dell’infrazione delle clausole contrattuali che lo impegnavano a dipingere unicamente per i Medici. A testimoniare questa sua fase, il San Girolamo sorretto dall’angelo appartenente alla chiesa di San Giovannino degli Scolopi, del Martirio di Santa Dorotea di Pescia e dell’Adorazione della Croce recentemente ritrovata nella chiesa di Sant’Andrea a Percussina, importante supplemento al catalogo dell’artista. Fino al 28 settembre 2014 Fabrizio Del Bimbo

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