Negli ultimi tempi sempre più persone stanno comprendendo che il rispetto per la natura e la parola “biologico” ha significati profondi che vanno ben oltre il superficiale credere. Sono maturi tempi per allargare gli orizzonti e far sapere che essere attenti a certe pratiche non è moda, ma la voglia di non affossarci sotto cumuli di spazzatura come recentemente abbiamo visto in qualche città del sud… per azzardare una delle ipotesi più ottimistiche. Vanno sfatate inoltre alcune leggende metropolitane come, ad esempio, quella che identifica i seguaci delle pratiche biologiche in post-hippy ageè che scelgono di mangiare zucchine di un certo tipo. No, non è così! Vivere bio è solo aver rispetto di noi stessi, del prossimo e del mondo che ci circonda. Usciamo allora definitivamente dai luoghi comuni e guardiamoci intorno. Oggi c’è molto verde nelle nostre città; i parchi e i giardini per fortuna grazie ad un inversione di tendenza stanno riprendendo – è proprio il caso di dirlo – terreno dopo i caterpillar degli anni 60 e 70 del Novecento che fecero credere che al posto degli alberi in città fosse più utile il cemento armato. Ben venga questo ritorno, ma dobbiamo aver ben chiaro però che non basta mettere a dimora tre alberelli imberbi, quattro aiuole frondose e due comode panchine per poter dire “amiamo e rispettiamo la natura!” No, non è così banalmente semplice…Sia i privati, ma soprattutto le amministrazioni devono andare più nel profondo e capire - facendosi guidare da professionisti formati a hoc - che i parchi e i giardini, paradossalmente, possono essere grandi fonti d’inquinamento! Un parco non s’improvvisa, ciò che è verde non è naturale a prescindere, ma soprattutto non è quello perfetto che patinato luccica dai periodici di settore…
Silvia Martelli, forestale di Giardini Associati di Firenze e pioniera del settore mi ha aperto un mondo: “Pensate solo ai diserbanti, agli antiparassitari e ai prodotti di sintesi che ci sono in un parco. Pensate adesso ai vostri bimbi che lì corrono e giocano, normale che alla fine si portino le manine in bocca…Pensate a cosa ingeriscono… Ma le mamme sono ignare e sono convinte che portare i bimbi al parco sia la cosa migliore da fare quando invece può essere pericolosissimo! Recenti studi dell’Università di Siena hanno. Infatti. dimostrato che, paradossalmente è più sano un bimbo che vive in casa di uno che frequenta il verde pubblico! Il suo sangue non contiene quei veleni incolori e inodori presenti nei parchi”. Ma come può un parco trasformarsi in Biohabitat? “Solo seguendo e rispettando i criteri di un rigoroso disciplinare che ti fanno ottenere la certificazione. I Biohabitat del resto non sono che parchi che rispondono a certi criteri di salubrità.”
Approfondendo l’argomento ho capito il gran vuoto culturale e poi, ho scoperto con piacere che il primo luogo certificato Biohabitat di Toscana è il parco di Villa Ognissanti sede dell’Ospedale Pediatrico Anna Mayer che peraltro è anche il primo parco d’ospedale d’Italia! “Un Biohabitat si costruisce stando attenti ai consumi d’energia diminuendo gli interventi di manutenzione. Com’è possibile? Semplicemente mettendo a dimora le piante più distanti fra loro ad esempio per dover fare meno potature; oppure mettendo solo piante autoctone che oltre ad essere per questioni climatiche più resistenti forniscono cibo e rifugio agli animali, soprattutto gli insetti che poi combattono in modo naturale i parassiti. Vuol dire consumare meno acqua, illuminare con impianti che puntando verso il basso permettano di far vedere anche le stelle; vuol dire scegliere arredi e giochi in materiali naturali o riciclati e soprattutto renderli fruibili anche ai bimbi disabili”. La dottoressa Martelli mi sta parlando di quella che sembra la scoperta dell’acqua calda in cui capisco che l’ostacolo maggiore, oltre che culturale è temporale: tutti abbiamo fretta mentre con il giardino bio serve pazienza perché il ciclo è naturale. Ma tornando al Parco di Villa Ognissanti dove veniamo affascinati dalla splendida oliveta recentemente “adottata” dal Consorzio dell’Olio Chianti Classico, scopriamo che il Biohabitat prevede anche una zona non sfalciata e vedendo il mio stupore la dottoressa prosegue: “All’interno di un bioparco ci deve essere sempre una zona così, serve per far riprodurre la natura, creare alimento e non interrompere mail il ciclo vitale. Un bioparco non s’improvvisa: richiede tempo e progettisti e vivaisti abilitati. Qui al Mayer stiamo lavorando da tre anni e la certificazione è fresca di solo quattro mesi. Un onore lavorare con persone di grande sensibilità in un simbolo della Toscana e soprattutto aver iniziato da un luogo dei bambini: credo sia perfetto iniziare da loro che sono il futuro per voltar pagina”.
Silvia Martelli, forestale di Giardini Associati di Firenze e pioniera del settore mi ha aperto un mondo: “Pensate solo ai diserbanti, agli antiparassitari e ai prodotti di sintesi che ci sono in un parco. Pensate adesso ai vostri bimbi che lì corrono e giocano, normale che alla fine si portino le manine in bocca…Pensate a cosa ingeriscono… Ma le mamme sono ignare e sono convinte che portare i bimbi al parco sia la cosa migliore da fare quando invece può essere pericolosissimo! Recenti studi dell’Università di Siena hanno. Infatti. dimostrato che, paradossalmente è più sano un bimbo che vive in casa di uno che frequenta il verde pubblico! Il suo sangue non contiene quei veleni incolori e inodori presenti nei parchi”. Ma come può un parco trasformarsi in Biohabitat? “Solo seguendo e rispettando i criteri di un rigoroso disciplinare che ti fanno ottenere la certificazione. I Biohabitat del resto non sono che parchi che rispondono a certi criteri di salubrità.”
Approfondendo l’argomento ho capito il gran vuoto culturale e poi, ho scoperto con piacere che il primo luogo certificato Biohabitat di Toscana è il parco di Villa Ognissanti sede dell’Ospedale Pediatrico Anna Mayer che peraltro è anche il primo parco d’ospedale d’Italia! “Un Biohabitat si costruisce stando attenti ai consumi d’energia diminuendo gli interventi di manutenzione. Com’è possibile? Semplicemente mettendo a dimora le piante più distanti fra loro ad esempio per dover fare meno potature; oppure mettendo solo piante autoctone che oltre ad essere per questioni climatiche più resistenti forniscono cibo e rifugio agli animali, soprattutto gli insetti che poi combattono in modo naturale i parassiti. Vuol dire consumare meno acqua, illuminare con impianti che puntando verso il basso permettano di far vedere anche le stelle; vuol dire scegliere arredi e giochi in materiali naturali o riciclati e soprattutto renderli fruibili anche ai bimbi disabili”. La dottoressa Martelli mi sta parlando di quella che sembra la scoperta dell’acqua calda in cui capisco che l’ostacolo maggiore, oltre che culturale è temporale: tutti abbiamo fretta mentre con il giardino bio serve pazienza perché il ciclo è naturale. Ma tornando al Parco di Villa Ognissanti dove veniamo affascinati dalla splendida oliveta recentemente “adottata” dal Consorzio dell’Olio Chianti Classico, scopriamo che il Biohabitat prevede anche una zona non sfalciata e vedendo il mio stupore la dottoressa prosegue: “All’interno di un bioparco ci deve essere sempre una zona così, serve per far riprodurre la natura, creare alimento e non interrompere mail il ciclo vitale. Un bioparco non s’improvvisa: richiede tempo e progettisti e vivaisti abilitati. Qui al Mayer stiamo lavorando da tre anni e la certificazione è fresca di solo quattro mesi. Un onore lavorare con persone di grande sensibilità in un simbolo della Toscana e soprattutto aver iniziato da un luogo dei bambini: credo sia perfetto iniziare da loro che sono il futuro per voltar pagina”.
In chiusura due cosette utili che forse vi sorprenderanno che ho appreso in questo mio viaggio alla scoperta del biohabitat: attenzione all’orto fatto in casa se lo concimate con prodotti di sintesi ed attenzione ai fiori recisi che sono belli ma, pieni di veleni.
Torniamo alla natura, guardiamo ai boschi e ai loro cicli naturali, cerchiamo di capire che la natura non è un materiale di consumo.
Torniamo alla natura, guardiamo ai boschi e ai loro cicli naturali, cerchiamo di capire che la natura non è un materiale di consumo.
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