E' stato presentato
in Senato il rapporto “La montagna perduta” curato dal CER e dalla
Trentino School of Management. In Italia, la popolazione montana è
crollata dal 42 al 26% in 60 anni. Ma il Trentino, insieme ad Alto Adige
e Valle d'Aosta sono in netta controtendenza, grazie a politiche
pubbliche lungimiranti che hanno saputo attrarre giovani offrendo loro
opportunità di futuro
E' il 43% della superficie italiana ma i territori montani stanno
assistendo a un progressivo, silenzioso spopolamento a tutto vantaggio
delle pianure. Eppure la responsabilità non è tanto da attribuire
all'orografia quanto a scelte politiche sbagliate. Tanto è vero che,
dove i decisori pubblici hanno saputo mettere in campo policy pubbliche lungimiranti, i dati sono in netta controtendenza, fino a rappresentare delle vere e proprie best practice per
l'intero Paese. Sugli allori, in questo senso, le esperienze di
Trentino, Alto Adige e Valle d'Aosta, dove la popolazione montana,
anziché diminuire, cresce a ritmi importanti.
É, in sintesi, il filo conduttore del rapporto "LA MONTAGNA PERDUTA. Come la pianura ha condizionato lo sviluppo italiano",
curato dal CER (Centro Europa Ricerche) e da TSM Trentino School of
Management, con il patrocinio del Senato della Repubblica, dell’Unione
Nazionale Comuni Comunità Enti Montani e della Fondazione Dolomiti
Unesco.
«I
territori montani sono un nodo strategico per l'economia verde, in una
società che vede sempre più avanzare la crisi idrica ed energetica» ha
osservato in apertura del convegno, il presidente del Senato, Pietro Grasso. «Adeguate
politiche pubbliche devono essere in grado di superare le condizioni di
svantaggio che limitano le potenzialità della montagna non ancora
sufficientemente sfruttate».
«Del dissanguamento delle comunità residenti in montagna si è parlato sempre molto poco» spiega Gianfranco Cerea, economista dell'università di Trento e curatore della ricerca,
che è stata illustrata oggi pomeriggio in Senato, alla presenza del
presidente del Senato, Pietro Grasso. «La letteratura, che pure abbonda
di lavori sul divario Nord-Sud, quasi mai ha studiato il rapporto tra
pianura e montagna. Ecco il senso di questa ricerca, tutta dedicata alla
cosiddetta 'questione montana'»
I
numeri dello spopolamento appaiono impietosi: a fronte di una
popolazione italiana cresciuta di 12 milioni di unità negli ultimi 60
anni, la montagna ha perso 900mila abitanti. La crescita si è quindi
concentrata in pianura (8,8 milioni di residenti in più) e collina (+4
milioni). Risultato: se nel 1951 la popolazione montana era il 41,8%
rispetto a quella di pianura, oggi rappresenta solo il 26%. «E il
meccanismo si autoalimenta» osserva ancora Cerea.«Avere meno popolazione
significa avere meno peso politico, minore domanda di servizi e
un'organizzazione più difficile con una conseguente maggiore propensione
all'emigrazione in pianura».
Ma
a dimostrare che il circolo, da vizioso, può essere al contrario
trasformato in virtuoso, ci sono tre esempi, citati dai stessi
ricercatori: in Trentino-Alto Adige e Valle d'Aosta la popolazione è
cresciuta tanto da attestarsi tra le prime cinque regioni che hanno
avuto il maggiore incremento generale di popolazione. In particolare, la
provincia di Trento è la principale destinazione delle migrazioni
interne. E, accanto al saldo migratorio interno favorevole, un altro
dato è stato sottolineato nella ricerca: Trentino e Alto Adige hanno
anche il secondo più basso rapporto di anziani per bambini, ribaltando
una classifica che, 40 anni fa, le vedeva al settimo posto.
Il
merito di questa apparente contraddizione è delle buone politiche
pubbliche adottate nel corso del tempo dagli amministratori locali, che,
si legge nella ricerca, «hanno trattato la montagna non come un limite
ma come una specificità, puntando su una dotazione di infrastrutture non
minore rispetto ai territori di pianura, anche a fronte di un costo più
alto, garantendo un maggiore accesso ai servizi pubblici essenziali e
una qualità di vita elevata. Elementi che hanno permesso alle imprese di
prosperare e all’agricoltura di rivoluzionarsi, divenendo moderna e
competitiva».
Per
raggiungere questi risultati invidiabili, un contributo essenziale,
osservano gli autori dello studio, è arrivato dall'autonomia gestionale
delle risorse economiche del territorio. Ma da sola l'autonomia non
basta: Fatto 100 il valore al 1970 della ricchezza di partenza tale
valore, nel 2012 per il Trentino arriva a 345, quello della provincia di
Bolzano a 328 mentre la media nazionale è ferma a 264 e la Sicilia,
altra regione autonoma, ha un valore di 230. L'aver avuto a disposizione
risorse aggiuntive non ha significato avere dovunque gli stessi
risultati, ma rimane centrale il tema della capacità non solo di
spendere, ma anche di spendere bene, creando reale ricchezza e
opportunità per il territorio.
«Da
questa ricerca emerge con forza che le diversità delle politiche hanno
inciso dal punto di vista qualitativo», ha commentato in conclusione Ugo Rossi, presidente della Provincia Autonoma di Trento, che ha colto l'occasione per sottolineare l'importanza di tutelare l'autonomia statutaria del proprio territorio «Da
più parti ci si invita a riflettere sulla nostra autonomia. Ma noi tale
riflessione l'abbiamo fatta da tempo, accettando di aumentare le nostre
competenze e diminuire al tempo stesso la percentuale di risorse locali
che tratteniamo nel nostro territorio per contribuire a ripianare il
debito pubblico nazionale. L'autonomia non è la difesa di un mondo e
delle proprie prerogative dalle minacce esterne, ma è la tutela delle
nostre buone esperienze, del nostro bagaglio di conoscenza, di uno
strumento che ha garantito la qualità di vita dei nostri cittadini»
Del Bimbo Fabrizio.
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