mercoledì 25 marzo 2009
Una nuova attribuzione a Leonardo da Vinci
Il ritrovamento, in una soffitta sotto un mucchio di scarti, è stato tanto casuale quanto avventuroso. Ma l’ipotesi che si tratti di una scultura di Leonardo da Vinci è ora presa in seria considerazione dagli esperti. Al punto che lo storico dell’arte Giancarlo Gentilini ne fa cenno apertamente, benché con cautela, in un eloquente saggio contenuto nel catalogo della mostra "Il cotto dell’Impruneta. Maestri del Rinascimento e le fornaci di oggi", da lui co-curata nella cittadina toscana e da domani aperta al pubblico (www.imprunetacotto.it).
Si tratta appunto di un busto in cotto verniciato a imitazione del bronzo (foto), una ‘testa dolente’ (forse un San Gerolamo in estasi) di straordinaria fattura, potenza espressiva e impressionante realismo d’ispirazione donatelliana. Caratteristiche prorompenti malgrado alcune rotture (il naso) e restauri sommari (mento e orecchie).
Esposto per la prima volta accanto a un prezioso nucleo di sculture di Brunelleschi, Ghiberti, Donatello, Michelozzo, Desiderio da Settignano, Verrocchio e Benedetto da Maiano, il busto è tornato alla luce a Siena nel 1990, all’indomani della mostra dedicata alle sculture della Collezione Chigi Saracini curata da Gentilini con lo storico dell’arte Carlo Sisi. Furono proprio loro a trovarlo nel corso di un’ispezione alle vaste soffitte dell’antico palazzo.
“Fino ad allora erano praticamente inaccessibili”, ricorda Gentilini, “Ci fu permesso di visitarle in vista della catalogazione informatica dell’intera raccolta e degli arredi. Scoprimmo così che vi erano state riunite varie opere in gesso e in terracotta, probabilmente rimosse dalle sale perché ritenute di scarso valore o perché in stato precario di conservazione. E sul pavimento, sotto un cumulo di scarti, vedemmo il busto”.
Probabilmente, aggiunge, non era un’opera autonoma, bensì un esercizio di anatomia e fisiognomica, un modello da studiare, disegnare ed eventualmente tradurre in pittura o scultura. Anche per questa caratteristica, il busto è stato fin qui attribuito a Verrocchio, quanto meno alla sua bottega. Sono evidenti, peraltro, le analogie con vari altri lavori del maestro fiorentino.
Ma appunto nella bottega di Verrocchio il giovane Leonardo, nato nel 1452, fece eccellente apprendistato tra il 1469 e il 1476. Ed è noto che, sia col pennello che come scultore, si esercitò spesso sulle teste di vecchio, in particolare sul tema di San Gerolamo, l’eremita all’epoca assai venerato. Nell’inventario che Leonardo compilò prima di partire per Milano (1482) si citano non a caso ‘cierti san Girolami’ e ‘molte teste di vecchi’ (Codice Atlantico).
Quanto alle analogie tra il busto e altre opere attribuite all’entourage di Verrocchio o a Leonardo stesso, Gentilini ricorda il dipinto Cristo Crocifisso fra i Santi Gerolamo e Antonio Abate (tavola trafugata nel 1970) e una magistrale tempera, conservata a Firenze dalla Galleria Palatina, raffigurante la testa del santo (foto), e recentemente riattribuita proprio a Leonardo.
“Tre immagini di identica, cruda indagine anatomica”, annota il critico, “che evidenziano le particolarità della struttura ossea (zigomi e mento assai sporgente) e ogni accidente dell’epidermide, come la conformazione quasi slabbrata delle orbite, il gonfiore delle orecchie, il profondo solco ai lati della bocca e le rughe che si assommano sotto gli occhi rovesciati verso l’alto, su cui spiovono le folte sopracciglia”.
Il busto è “comunque in stretta relazione con il San Gerolamo in stucco del Victoria and Albert Museum, che, per la caratterizzazione più complessa e dolente del volto, dalla bocca dischiusa e lo sguardo smarrito, risulta imparentato col San Gerolamo penitente della Pinacoteca Vaticana dipinto da Leonardo intorno al 1480”.
Nicoletta Curradi
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