Nel 2010 Jan Fabre concepì una serie di 18 autoritratti – che chiamò “Capitoli” – plasmati in cera marezzata da chiazze sanguigne e poi fusi in bronzo, utili per essere ora esposti in musei, ora collocati en plen air, in un bosco. L’unico comune denominatore della serie è il volto dell’artista arricchito e trasformato da vistose ramificazioni, corna, memorie del mito, orecchie d’asino, a tal punto da delinearsi un Bestiarium antropomorfo.
Agli Uffizi l’artista ha scelto di donare i “capitoli” VIII (con corna di ovino) e XI (orecchie d’asino) della sua serie di autoritratti. Come ha scritto la soprintendente del Polo Museale Fiorentino, Cristina Acidini, sul pieghevole “Studi e ricerche” che accompagna la presentazione delle opere, “Con i due autoritratti in bronzo di Jan Fabre, artista belga di provocatori orientamenti figurativi, nella celebre raccolta degli Uffizi entrano due opere interessanti e al tempo stesso inquietanti. Ci si può chiedere, in base a quel che si conosce dell’artista, se quella sua duplice ibridazione tramite espansioni teratomorfe della testa - orecchie d’asino, corna di ovino - non sia uno dei paradossi che accompagnano la sua creatività nelle arti e nello spettacolo. Se così è, non si può che registrare il suo gesto come un portato di questi nostri tempi, di cui Fabre è avanzato rappresentante e critico interprete”.
Le fa eco il direttore della Galleria degli Uffizi, Antonio Natali, il quale afferma che “Al cospetto dei due autoritratti donati da Jan Fabre agli Uffizi e degli altri della medesima serie mi viene difficile celare il sorriso di chi accetta d’essere beffato dalle invenzioni del poeta. Preferisco prestarmi e condiscendere all’irrisione piuttosto che partecipare al coro dell’esegesi psicanalitiche e allegoriche delle teste di Fabre. Ho la sensazione che non si tenga mai abbastanza conto della dimensione sarcastica e perfino denigratoria di molte espressioni attuali. Eppure il sarcasmo o lo scherno vantano entrambi una tradizione antica e nobile. (…) L’artista, sfrontato e impudico, narcisisticamente si offre in molteplici sembianze e, come fosse una divinità egizia, si sistema sul fondo del suo santuario, disponibile all’ingenua venerazione di fedeli desiderosi d’accedere al mistero”.
Da parte sua Giovanna Giusti sottolinea che, grazie a questa donazione, Jan Fabre “sarà in un sol colpo il 34° artista belga (dividendo con Rubens, Van Dijck, Sevin, Ensor, de Bruyckere la rappresentanza nazionale) ma in qualche modo anche il 35°, perché sdoppiando la sua immagine, concretamente affida a due soluzioni l’enigma del suo pensiero”.
Germano Celant, critico d’arte, afferma che “Certamente questo tipo di lavoro è condizionato dal repertorio zoomorfo antico, per cui è interessante che il contributo trovi la sua ‘tana’ agli Uffizi, dove l’eterogeneità delle figure irreali abitano e si nutrono da secoli”.
La donazione dei due autoritratti giunge a 33 anni dalla mostra “Arte fiamminga contemporanea” allestita nel 1979 a Palazzo Rucellai, durante la quale Jan Fabre visitò ripetutamente la Galleria degli Uffizi ricavandone impressioni ed emozioni che puntualmente annotò. Per ricordare quell’avvenimento e confermnare il legame esistente tra l’artista belga e gli Uffizi, sul pieghevole che accompagna la presentazione della mostra sono riportate alcune note estratte dal Giornale notturno che l’artista compilò tra il 1978 e il 1984. In una di queste si legge:
“Firenze, 17 ottobre 1979. Sono tornato agli Uffizi, vagando dove Leonardo da Vinci e Michelangelo venivano a riposare.
A volte faccio fatica ad afferrare queste realtà.
Tutto è apparentemente vero, ma è allo stesso tempo così astratto.
La Medusa di Caravaggio? E’ pornografia pura. Quest’opera mi entra nella pelle. E’ di una bellezza senza rivali.
Una bellezza che accarezza e morde allo stesso tempo.
Quando vedrò una donna con la bocca aperta penserò a Caravaggio”.
Fabrizio Del Bimbo
Nicoletta Curradi
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