mercoledì 13 luglio 2011

Un buon 2010 per il manifatturiero


Osservatorio sui bilanci delle società di capitali toscane

RAPPORTO 2011

“crisi economica ed equilibrio finanziario”


La crisi del 2009 ha tuttavia determinato una forte erosione del valore aggiunto e l’arresto dei programmi di investimento delle imprese, anche se le condizioni di solvibilità -seppur in diminuzione- non hanno raggiunto soglie critiche e il livello di capitalizzazione continua a crescere


Un 2010 in cui le imprese manifatturiere hanno beneficiato della ripresa in corso su gran parte degli indicatori di bilancio presi in esame, anche se in molti casi il recupero dei valori pre-crisi risulta ancora parziale. Un 2010 in cui le imprese in utile sono passate dal 57% del 2009 al 64% (ma erano il 75% nel 2007), il margine operativo netto sui ricavi è passato dal 2,5% al 3,8% (4,6% nel 2007) e la quota di imprese con un autofinanziamento operativo superiore agli oneri finanziari è passata dal 67% al 73% (82% nel 2007).



L’analisi relativa al 2009 evidenzia tuttaviva la pesante eredità che la crisi recessiva più pesante dall’ultimo dopoguerra ha determinato sulle condizioni di equilibrio economico-finanziario delle imprese. La brusca contrazione del fatturato (-7,8% rispetto al 2008), in gran parte attribuibile al crollo della domanda estera, ha provocato una forte erosione anche del valore aggiunto (-8,6%). Il forte peggioramento sul versante produttivo e degli ordini e la caduta delle aspettative imprenditoriali, evidenziando l’esistenza di una capacità produttiva in eccesso, si sono tradotti in un arresto dei programmi di investimento delle imprese: l’andamento della spesa in conto capitale per immobilizzazioni materiali (Capital Expenditure) registra, nel 2009, una forte flessione (-42,0%) rispetto ad un 2008 in cui la tendenza osservata era ancora in crescita (+14,3%).



Questi sono alcuni dei dati che emergono dai risultati dell’Osservatorio sui bilanci delle società di capitale, presentato oggi a Firenze da Unioncamere Toscana e dal Dipartimento di Scienze Aziendali dell’Università di Firenze ed arricchito da un modello sperimentale di simulazione dei risultati economici delle imprese manifatturiere per l’anno 2010, alimentato a partire dai risultati delle indagini congiunturali condotte dall’Ufficio Studi di Unioncamere Toscana.



Nel 2009, il tasso di rendimento dell’attivo delle società di capitali (ROI operativo) si è ridotto di 2,5 punti percentuali rispetto al 2007, assumendo i valori più bassi del quinquennio (5,10%), inferiori anche al costo del capitale di prestito (i tassi di interesse a breve termine, nel 2009, sono infatti stati pari al 5,3%). Il notevole rallentamento nei tempi di riscossione dei crediti ed il conseguente incremento dei livelli di capitale circolante hanno infatti determinato un forte decelerazione del tasso di rotazione del capitale operativo investito netto (pari a 245 giorni, oltre 20 in più rispetto al 2009). Pur a fronte di un deciso intervento della cassa integrazione guadagni durante tutto il 2009, l’incidenza del costo del lavoro sul valore aggiunto è inoltre cresciuta di 2,2 punti percentuali (attestandosi al 67,3%), determinando una forte erosione nella redditività delle vendite (3,8%) rispetto ai valori pre-crisi (5,0% nel 2007).

La compressione dei margini sulle vendite ha contribuito a creare un ulteriore peggioramento delle condizioni di liquidità, nonostante la decisa riduzione nell’incidenza del costo del debito sul fatturato delle imprese determinata dagli effetti delle politiche di contenimento dei tassi di interesse.

La crisi ha ulteriormente accentuato le differenze di performance tra piccola e grande dimensione: rispetto ad una caduta del fatturato che può considerarsi inversamente proporzionale alla dimensione aziendale (-8% le micro imprese, -6% le grandi), la contrazione del valore aggiunto è stata molto più forte per le micro imprese rispetto alle altre classi dimensionali (-9%) denotando un contesto di evidente rapida diffusione della crisi, ed una minore reattività (flessibilità) delle strutture aziendali più piccole nell’adeguamento della struttura dei costi. Nel manifatturiero in particolare, in misura ben più accentuata di quanto non sia avvenuto per il complesso delle società di capitali, differenti strategie di risposta alla crisi hanno determinato un vero e proprio crollo dei margini sulle vendite per le micro-imprese (ricavi -12,7%, valore aggiunto -13,6%) a fronte di una maggiore capacità di contenimento dei segni negativi da parte delle imprese di grande dimensione (ricavi -8,1%, valore aggiunto -7,3%): la re-internalizzazione della capacità produttiva in eccesso, attraverso la riduzione dei rapporti di commessa sul territorio, ha fatto sì che le strutture aziendali di maggiori dimensioni siano riuscite a recuperare marginalità trasferendo sulle imprese di dimensione inferiore, con strutture meno flessibili, il costo della crisi.

Differente è stato inoltre l’impatto di tali riduzioni sull’utile netto. Contrariamente a quanto osservato nel 2008, ed a causa del netto peggioramento delle condizioni di offerta sul mercato del credito, il 2009 ha visto una accentuazione della variabilità nell’incidenza degli oneri finanziari tra classi dimensionali di impresa, anche in conseguenza di una netta differenziazione delle politiche di credito da parte delle banche: il peso degli oneri finanziari per euro di fatturato risulta superiore di 7 centesimi (per euro di fatturato) per le micro-imprese rispetto alle grandi.



Un approfondimento sulle condizioni di solvibilità delle imprese del sistema produttivo toscano evidenzia tuttavia un quadro non critico, specie se valutato alla luce dell’intensità della crisi economica manifestatasi nel periodo oggetto di osservazione. Il livello di capitalizzazione, infatti, è buono e in crescita, con strutture finanziarie nella quali oltre la metà dei capitali sono di rischio. Si registra, tuttavia, una leggera flessione nel servizio del prestito. Quest’ultimo fenomeno è da ricollegarsi alla decisa riduzione dei volumi di vendita che ha, a sua volta, determinato un’intensa contrazione dei margini operativi che alimentano i flussi di cassa correnti. Nel corso del 2009, infatti, l’autofinanziamento lordo in percentuale sul fatturato perde cinquanta punti base, attestandosi intorno al 6%. Inoltre, a peggiorare le cose, alla brusca caduta delle vendite non si è accompagnata una pari riduzione dei cicli operativi e del conseguente fabbisogno finanziario corrente espresso dal capitale circolante. Fra crediti che si riscuotono più tardi e scorte che gonfiano i magazzini, nel complesso il ciclo attivo si è allungato di quasi due settimane, solo parzialmente colmato da un allungamento dei tempi di pagamento dei fornitori.

La risposta a questo deficit di liquidità non è stata quella di un maggior ricorso al debito bancario a breve. Piuttosto, le imprese, in ciò guidate anche dal sistema bancario, sono apparse più attente a ristrutturare l’indebitamento, riducendo il peso delle operazioni di finanziamento collegate alla gestione del portafoglio commerciale e delle aperture di credito in conto corrente.

La riduzione dei flussi di cassa è stata parzialmente controbilanciata dalla riduzione del costo del debito. Le misure anticrisi messe in atto dalla Banca Centrale hanno alleggerito il peso degli interessi passivi sul fatturato. Se, infatti, nel 2008 il costo del debito finanziario calcolato su dati contabili si attestava poco sopra il 6,5%, nel 2009 tale costo scende al di sotto del 5%.

In questo quadro generale, le micro e le piccole imprese fanno registrare maggiori difficoltà nel servizio del debito rispetto alle imprese medio-grandi. Le possibili chiavi interpretative di questo fenomeno sono due. In primo luogo, l’andamento dei margini operativi che, nelle realtà più piccole, ha segnato una brusca contrazione, con conseguente peggioramento della componente di autofinanziamento alla base dei flussi correnti. Inoltre, le imprese di minore dimensione hanno beneficiato in misura più ridotta, rispetto alle compagini più grandi, della riduzione dei tassi di interesse, a causa del loro modesto potere contrattuale.



Guardando ai settori di attività, le imprese agricole risultano ben capitalizzate (patrimoni che superano il 55% del totale delle fonti finanziarie), con una liquidità operativa che nel 2009, a differenza dell’anno precedente, riesce a coprire integralmente il costo del debito.

Quanto all’industria, nel complesso i diversi comparti identificabili al suo interno appaiono “solvibili”. L’estrattivo è il comparto finanziariamente migliore, con elevata e crescente capitalizzazione e oneri finanziari contenuti. Il livello di capitalizzazione cresce anche per il manifatturiero, oltrepassando la soglia del 50% del totale delle fonti finanziarie. Tuttavia, se i debiti appaiono in riduzione, il loro peso sui flussi di cassa operativi - fortemente diminuiti - cresce. Le utilities, invece, rispetto al manifatturiero seguono un percorso inverso. La capitalizzazione scende, pur rimanendo su livelli sempre accettabili, ma, grazie a una marginalità in aumento, presentano una maggior capacità di sostenere il debito. Le costruzioni, infine, riescono a difendere la posizione del 2008, con livelli di patrimonializzazione comunque inferiori agli altri settori industriali.

I servizi, infine, esprimono il macro-settore che denuncia la maggior sofferenza sul piano della liquidità. Una dotazione di capitale di rischio mediamente alta non basta a garantire il servizio del debito, il cui costo appare molto elevato. Gli altri servizi non finanziari rappresentano l’unico comparto che riesce in un anno a generare flussi di cassa capienti rispetto agli interessi passivi. Perde terreno, invece, finendo nel quadrante della crisi di liquidità, il comparto commercio, alberghi, pubblici esercizi, penalizzato da un marcato appesantimento dei margini reddituali. La situazione appare ancor più critica per il settore trasporti e comunicazioni, perché qui la gestione caratteristica è in perdita cosicché il rapporto fra tassi di rendimento degli investimenti e costo dei finanziamenti impiegati per realizzarli è senz’altro sfavorevole.


Fabrizio Del Bimbo

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